April 3, 2012

I nodi del fashion blogging vengono al pettine.


Un articolo di Simone Marchetti su Repubblica Economia e Finanza di ieri ha riacceso le polveri tra gornalisti di moda e fashion blogger, come accaduto gia' a gennaio quando un gruppo di giornaliste di moda - rimaste poi anonime - avrebbe voluto dare un ultimatum ai designer durante le sfilate moda donna milanesi - o noi o loro. Lasciando da parte la maliziosita' dell'articolo, la  lacuna di aver fatto dato una notizia basata su 'indiscrezioni' poi 'confermate' - si, ma da chi? - , l'aver attaccato la Ferrgni senz apero' nominarla ed il fatto che un giornalista di una testata nazionale come Repbubblica non abbia avuto altro materiale notiziabile, il pezzo ha pero' messo, nuovamente in luce una serie di problematiche di cui, prima o poi, pr e marketing dovranno rendersi conto, che riassumo nei seguenti punti.

1) La varia natura dei fashion blog. C'e' chi posta solo outfit, c'e' chi partecipa ad eventi e sfilate e ne fa un reportge piu' o meno live e  piu' o meno personalizzato, c'e' chi fa un blogging vicino allo stile dei magazine tradizionali, c'e' chi fa DIY, e poi c'e' chi fa un mix di tutte queste cose.
Stabilire quale tipo di fashion blogging sia quello giusto o migliore non ha senso, poiche'sta al lettore o follower decidere quello che gli/le piace di piu'. Personalmente seguo blog che abbiano fondamentalmente dei contenuti: eventi, sfilate news, giovani designer e marchi etc...e un outfit personale qua e la' non mi dispiace.

2) Remunerativita' dell'investimento sui blogger. Che si tratti di vitto e alloggio pagato, di un compenso a due, tre, o quattro zeri, di outfit gratuiti o quant'altro, l'investimento che un marchio fa su un blogger e su un evento dovrebbe essere sempre quantificabile, se non in temini monetari, per lo meno in termini di visualizzazioni, click etc... L'impressione nettissima che ho invece e' che in Italia, tranne in alcuni rari casi, come  Stefanel e Prada a Tokio, le case di moda non si prendono la briga di collaborare con blogger in linea la propria immagine, valori etc... ma che facciano affidamento sempre sui soliti noti contando sul fatto che...sono noti.

3) Compensi e monetizzazione. Un giornalista lavora per una redazione ed un giornale e anche se free lance alla fine del mese riceve un compenso. Il blogger no. Per guadagnare con un blog, lo si monetizza, accettando pubblicita' sulla propria pagina, scrivendo post a pagamento, facendo affiliate marketing o come la Ferragni facendosi pagare da chi invita. Ma l'ultimo caso e' a parte, poiche' dobbiamo ormai metterci in testa che blogger famosi e popolari, come anche Bryan Boy, sono ormai anche delle celebrities. E se un attore, un cantante etc... viene pagato per presenziare un evento o pubblicizzare un prodotto, perche' un blogger-celebrity dovrebbe farlo gratuitamente?

Ritengo che sara' il tempo a selezionare i meritevoli ma e' sopratutto nelle mani e nell'intelligenza dei pr e di chi fa marketing cominciare a puntare su blog e blogger di qualita' e contenuti, andando oltre il solo fatto di usare chi e' piu' o meno noto. A voi la parola ora....altri nodi al pettine nel fashion blogging?

2 comments:

  1. "...ed il fatto che un giornalista di una testata nazionale come Repbubblica non abbia avuto altro materiale notiziabile..." già per questo "Ti stimo fratello" ahahhaha...
    Torando seria, quoto parola per parola quanto hai detto: niente giudizi, niente moralismi (di cui ieri abbiamo fatto incetta sui vari blog), ma un semplicissimo "fare il punto della situazione" con la speranza che chi di competenza apra gli occhi.
    Ale

    ReplyDelete
  2. Eccomi qui. Sì, sono d'accordo con te. Mah, La Repubblica ne parla perchè fa gossip. Tutti gossippiamo sulle celeb, no? ;)
    In ogni caso credo sia giunto il momento che le aziende si schiariscano le idee. Stefanel ha avuto un atteggiamento ingenuo. Ingenuo come l'azienda che ha recentemente chiesto alla sottoscritta di gestire il loro blog in toto, e in via del tutto gratuita!

    ReplyDelete